L’Arte di accontentarsi
Una pratica intelligente per una visione superiore
di Giovanni Asta
Da alcuni anni lo yoga è diventato molto popolare. In particolare lo studio del corpo attraverso le asanas è, generalmente l’approccio più facile e diffuso a questa antica scienza, e ora è consigliato anche da medici, fisioterapisti e da coloro che si occupano di benessere in senso generale.
Ogni giorno con gli allievi, mi confronto con problematiche di ogni genere. Volendo parlare di quelle almeno in apparenza fisiche, le più comuni sono sicuramente le protrusioni e ernie discali, conflitti nell’articolazione della spalla, e ginocchia con problemi di menischi o legamenti vari.
Pur non essendo un medico, o un fisioterapista, ma facendomi consigliare da professionisti, sostenuto dallo studio e dall’esperienza della pratica su me stesso, ho imparato almeno in parte a trattare casi difficili adattando l’asana al corpo.
Certo per un insegnante questo concetto è abbastanza scontato, ma tengo a sottolinearlo perché oggi, gli stereotipi associati allo yoga, ci rimandano a corpi perfetti, flessuosi in posture spesso improponibili per la maggior parte delle persone.
Ecco perché ritengo, per onestà professionale, sia prima di tutto fondamentale educare l’allievo al dialogo con l’insegnante, alla comprensione-accettazione delle sue caratteristiche fisiche e delle eventuali problematiche che si manifestano, adattattando-parzializzando l’asana per fare in modo che lo yoga venga praticato con profitto, soddisfazione e gioia.
Quando 20 anni fa ho iniziato il percorso, mai avrei potuto immaginare quanto avrei ricevuto, perciò cerco sempre di dare il massimo delle mie capacità verso chi è deciso ad intraprendere questo meraviglioso viaggio, anche se per vari motivi il suo corpo presenta qualche acciacco. D’altra parte l’asana e la sua difficoltà sono una palestra che ci consentono di allenarci ad affrontare i problemi della vita: se tutto fosse facile probabilmente saremmo dei “mollaccioni”.
Quando il corpo presenta delle rigidità rispetto al modello proposto dall’asana, è importante stabilire se siamo di fronte ad un impedimento di tipo muscolo-legamentoso, che ci lascia un buon margine di miglioramento, o osseo-articolare che può determinare una compressione tra i segmenti ossei, lasciando poco spazio ad evidenti miglioramenti.
Ad esempio in una posizione come Adho muka svanasana
in cui è richiesta, tra le altre cose, una rotazione del bacino in avanti, la difficoltà può essere dovuta alla catena muscolare posteriore rigida, corta o magari particolarmente potente , oppure alla conformazione della testa e collo femorale
che consentono al bacino, anch’esso molto variabile nella conformazione e ubicazione del cotile, un movimento limitato.
Possiamo sicuramente fare lo stesso discorso per l’articolazione scapolo-omerale che permette il movimento del braccio.
Una volta stabilito ciò, si mettono in atto quegli adattamenti corpo-asana che ci permetteranno di eseguire il più correttamente possibile e con il massimo beneficio per il praticante.
Esempi come questo se ne possono fare a decine.
A volte però, insegnare all’allievo” l’arte di accontentarsi” della performance del suo corpo in funzione di un azione corretta, non è semplice. La competitività a cui siamo condizionati spesso ci rende ciechi in funzione del raggiungimento di un obiettivo, impedendoci di vivere appieno il percorso, il respiro, sensazioni, emozioni, l’istante che viviamo che è poi l’unica cosa reale, ed importante.
Una volta che l’allievo ha compreso quanto questo sia importante per il suo benessere, probabilmente è pronto per una visione più ampia, ad esempio, essere erudito a concetti che stanno alla base dello percorso ad otto gradini postulato da Patanjali.
Ad esempio nella pratica delle asanas o del pranayama, a mio modo di vedere e senza entrare troppo nel profondo, yama e niyama rappresentano la tecnica, ciò che si deve e come è utile muonere il corpo, l’asana e il controllo cosciente del respiro e delle energie che veicola (pranayama), sono l’espressione del momento, il totale ascolto di ciò che stiamo esprimendo , dell’arte che stiamo realizzando: lo stato di raccoglimento che ne deriva è pratyhara in quanto tutto il nostro “sentire”, è rivolto verso l’interno.
La capacità di muovere il corpo sottilmente in un azione assolutamente reale e percepibile sviluppa un efficace attitudine alla concentrazione e concretizza Dharana.
Grazie all’allenamento costante (Abhyasa) e al distacco dal risultato dell’azione stessa (Vairagya) si manifestano energie nuove che ci conducono oltre i limiti a noi noti, vivere stabili nell’asana e realizzare Dhyana, uno stato meditativo attivo che è una condizione di totale armonia in cui mente-corpo-respiro si completano, si superano permettendo all’Essenza di apparire nella sua abbagliante e gioiosa bellezza.
Nell’immenso sapere Vedico, esistono concetti e verità di grandissima bellezza perfettamente applicabili alla vita dei nostri giorni e ancor più alla pratica di asanas e pranayama.
Ad esempio, il concetto di guna, è estremamente istruttivo ed illuminante: le tre forze della natura che influenzano fortissimamente i nostri comportamenti tanto che KRISHNA spiega nella BG [cap 3 verso 27 “l’anima sviata dal falso ego crede di essere l’autrice delle proprie azioni che in realtà sono compiute dai Guna”].
Ecco perché nell’esecuzione di un asana o di un vinyasa, questi tre elementi rappresentano costituenti che devono perfettamente equilibrarsi.
Secondo la mia comprensione, Sattva è la tecnica che con il suo straordinario apporto di conoscenza illumina la forma, Rajas, il dinamismo intrinseco all’asana, quella “tensione” interna che mantiene la forma e consente di passare da un asana all’altra, Tamas è quell’immobilità positiva, contemplativa che ti permette di vivere assaporare il momento e realizzare l’asana: “la statua che respira”.
Quando queste tre componenti sono in stato di perfetto equilibrio ed armonia, allora i limiti imposti dalla materia sono superati perché compresi, conosciuti e siamo pronti per scoprirne e superarne di nuovi.
Con il tempo e la pratica tutto questo cessa di essere qualcosa di cercato, pensato con la mente e con il corpo, ma è espressione dell’istinto, della gioia, dell’Essere: siamo in stato di Yoga.
Buona pratica
Giovanni Asta
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